Quasimodo: quando l’emarginazione genera odio

La percezione della bellezza fisica è un dato completamente soggettivo, anche se basato su una serie di standard comunemente accettati che, tuttavia, tendono ad evolversi con il passare dei secoli. Ma cosa si può affermare, invece, a proposito della bruttezza?

È triste ammetterlo, ma la bruttezza fisica mette tutti d’accordo. Probabilmente proprio perché alla base del concetto di bruttezza c’è un importante fattore culturale che accomuna tutti e che non andrebbe sottovalutato: la paura. Sicuramente Victor Hugo nell’apprestarsi a delineare la figura dello sfortunato Quasimodo, uno tra i protagonisti del romanzo Notre-Dame de Paris,  aveva in mente proprio questo.

Per approfondire quest’analisi è necessario allontanarsi per un momento dall’immaginario disneyano che, sin da quando eravamo bambini, ci ha regalato un’immagine poco aderente al vero del povero Quasimodo, sventurato campanaro di Notre-Dame, dagli atteggiamenti che rivelano una tenerezza fuori dal comune e alle dipendenze del crudelissimo Frollo, sua controfigura.

Il Quasimodo di Hugo, al contrario, si dimostra di una malvagità disarmante. La deformità che è prima di ogni altra cosa la causa della sua infelicità, diventa con il tempo anche una prigione, proprio come le mura della cattedrale che a fatica riesce ad abbandonare. Non è difficile riconoscere la causa dell’odio che caratterizza il personaggio: l’aspetto mostruoso che l’accompagna sin dai primi anni di vita genera paura e sospetto nella gente, portata ad associare l’aspetto sinistro del giovane campanaro a tutto ciò che riguarda il demoniaco. Ciò chè è brutto, sproporzionato e in un certo senso contronatura non può che essere un presagio di sventura, o meglio, il simbolo della presenza del male sulla terra. Tuttavia Hugo ambienta il suo romanzo nella Parigi del 1482, in un momento in cui la superstizione generava ininterrottamente nuove minacce e tutti gli angoli più importanti della città ospitavano forche e berline pronte ad essere utilizzate in ogni momento del giorno e della notte.

Ad indagare la sensibilità del gobbo è soltanto l’autore stesso che, con infinita bravura, riesce a dimostrare che solo l’odio può generare altro odio. Quasimodo è crudele, disprezza la gente, spaventa coloro che gli si avvicinano, sfrutta di continuo il suo aspetto cercando di suscitare terrore, ma fondamentalmente è una vittima, è innocente. Poiché la natura non gli ha dato la possibilità di essere amato nel mondo dei vivi, al pari di un eroe tragico, decide di lasciarsi morire per amore, abbandonandosi sul corpo morto della giovane Esmeralda, sua unica speranza di salvezza.

Ma ora, in piena modernità e a secoli di distanza dall’epoca della caccia alle streghe, potremmo affermare di aver superato l’ostacolo delle apparenze ingannevoli? Tralasciando l’ipocrisia, probabilmente no: Quasimodo non smetterà mai di essere emarginato, non allontanerà mai da sé lo sguardo spaventato di chi rifiuta a priori tutto ciò che ancora non è in grado di conoscere.