La moda sta cambiando, nei primi anni 2000 solo maglie corte e jeans aderenti che non lasciavano spazio all’immaginazione. Poi via via con gli anni i pantaloni sono diventati palazzo, le camicie sempre meno sagomate, i vestiti sempre più oversize. La moda è uscita un po’ fuori dalle passerelle e ha fatto un giro nella vita normale, quella in cui se sei invitata ad una festa un vestito che copre appena lo slip non è proprio il massimo della comodità.
Gli stilisti hanno capito che c’è altro, che bisogna accontentare un po’ tutti e che oltre il vecchio continente, patria indiscussa dell’alta moda, esistono donne nel resto del mondo che hanno voglia di sentirsi belle e perché no di spendere un bel po’ di soldi in vestiti che rispecchiano il loro modo di essere.
Questo genere di collezioni si chiamano Modest Fashion, altrimenti detta la moda modesta; i marchi più cool e le star dello street style cominciano ad accogliere nel loro guardaroba abiti dalle forme ampie che coprono interamente il corpo lasciando scoperte solo le mani e i piedi. Ma cos’è esattamente il modest fashion? Nel complesso, questo movimento ha accelerato il processo di affermazione di un decennio, ma si crea ancora un po’ di disappunto su cosa significhi scegliere un “capo modesto”. Cerchiamo di capire meglio di cosa stiamo parlando.
Se c’è una cosa in cui tutte le donne sembrano essere d’accordo, è questa: non esiste una definizione di cosa significhi la moda modesta, ma essenzialmente si riferisce al fatto di avere un maggiore grado di consapevolezza quando si tratta di coprire parti del tuo corpo.
Questo vuoto di informazioni non ci permette di categorizzare questo stile, creando incertezza all’interno del mercato della moda
La realtà è che ognuno ha la propria idea di ciò che la moda modesta significhi.
“La moda modesta, come termine di mercato, si è diffusa a metà degli anni 2000, questo in parte in questi anni sono nati alcuni marchi per mano di designer e imprenditori creativi che erano essi stessi motivati religiosamente”, dice Reina Lewis, professore di studi culturali al London College of Fashion, UAL. Internet ha reso possibile per individui e gruppi di persone non appartenenti alla cultura occidentale di usufruire di contenuti e prodotti che prima mancavano.
Come Hana Tajima, la stilista musulmana britannico-giapponese che di recente ha collaborato con Uniqlo in una collezione di moda modesta, la quale ha dichiarato ai media: “La realtà è che ognuno ha la propria idea di cosa significhi Modest fashion. Le preferenze sui colori e lo stile della gente sono così variegate che risulta difficile relegarle a queste due parole”.
Quindi, in breve, la moda modesta può descrivere diversi livelli di copertura del corpo. La decisione può essere dovuta all’appartenenza etnico-religioso o al sentirsi a proprio agio coprendosi, oppure legata alla praticità dell’indumento. Quindi erroneamente si parla di moda modesta associandola alla cultura mussulmana in particolare islamica e alla scelta di vestiario delle donne, non è solo una tendenza legata alla religione.
Perché l’industria della moda mainstream ne parla ora?
Secondo un recente rapporto di Thomson Reuters e Dinar Standard a livello globale, i musulmani hanno speso 185 miliardi di euro in abbigliamento e calzature nel 2013. Questo valore equivale alla somma della spesa totale in abbigliamento e accessori fatta in Giappone e Italia. Solo nel Regno Unito, il rapporto State of the Global Islamic Economy 2013 stima che il mercato della moda musulmano valga 100 milioni di sterline e dovrebbe raddoppiare entro il 2018.
Questo è, in parte, dovuto a un numero crescente di millennial donne musulmane, le quali hanno a disposizione redditi molto alti, grazie alle maggiori possibilità di impiego: molte più donne infatti hanno un lavoro e sempre meno sono costrette a stare in casa.
Al di fuori di fatti e cifre, bisogna dedicare un minuto a riflettere verso quale direzione stia proseguendo la moda: i social media hanno reso il concetto di diversità un pilastro portante della nostra società e di conseguenza di questo settore. E’ infatti evidente, alla luce dei dati e delle foto che riportiamo, che le donne di altre professioni religiose, differenti corporature e appartenenze etniche hanno il diritto ad apparire eleganti, oltre ad essersi dimostrate delle ottime acquirenti.
La risposta globale ogni volta che viene affrontato la modest fashion mette in evidenza quanto questo gruppo voglia essere rappresentato e soddisfatto. Quando DKNY commercializzò una collezione Ramadan adatti per i look modesty nel 2014, la stampa sollevò un polverone. Lo stesso dicasi quando H & M ha scelto Mariah Idrissi per un video nel 2015. È diventata la prima modella ad indossare l’hijab e a partecipare a una delle campagne del marchio. Ed ancora nel 2018 H&M ha proposto un’intera collezione di abiti, kaftani, pantaloni ampi e maxi camicie.
È interessante notare come ci sono tante donne non islamiche che sono attratte da questo stile di vestiario. Sembra che ci sia un mix di culture dove le donne insieme ridefiniscono il concetto di femminilità verso un modo di vestire ed apparire che le faccia sentire a loro agio e belle prima che convenzionali.
La moda è spesso un riflesso delle convenzioni culturali, e oggi ci sono più opzioni per vestirsi con “modestia”.