“O’ Munaciello” la macabra leggenda napoletana che non tutti conoscono

Nonostante napoletani, non tutti conoscono la storia del Munaciello, specialmente i giovani, ed è per chi è interessato a conoscerla che prendo spunto dai magici racconti della eccezionale Matilde Serao, per raccontarne la storia e la leggenda che ne è scaturita.

 La quale istoria fu così.

Durante il regno di Alfonso d’Aragona, dopo una lunga guerra che nel 1442 ridusse il regno di Napoli allo stremo, la situazione pian piano migliorò, e tra il 1503 ed il 1707 vennero realizzate molte opere e ristrutturazioni, tra cui fogne, strade, l’Arco di Trionfo, i Quartieri Spagnoli, via Toledo, la riviera di Chiaia, ecc.

A quel tempo, nella zona dei Mercanti, era sbocciato l’amore tra la fanciulla Catarinella Frezza, figlia di un mercate di panni, ed il nobile garzone Stefano Mariconda.

Il loro amore e la loro fedeltà era grande ma, la disparità delle nascite proibiva loro il nodo coniugale mentre la loro unione non era ben vista dalle rispettive famiglie. Nonostante tanto dolore ed amarezza ai due amanti non mancavano momenti di felicità quando di nascosto solevano incontrarsi. Per arrivare a lei, Stefano di notte, non senza pericolo, saltava su per i tetti, di terrazzo in terrazzo, per raggiungere quello dove  la bella amata l’aspettava. Ma una notte due mani traditrici afferrarono Stefano alle spalle e lo fecero cadere giù dall’inferriata mentre la povera Catarinella gridando s’aggrappava ai panni degli assassini. Stefano rimase orribilmente sfracellato nella fetida via sottostante fino a quando i parenti gli diedero onorata sepoltura. La ragazza, pazza di dolore, fuggì di casa e fu ricoverata presso un monastero di monache. Il suo parto fu prematuro dando alla luce un bambino piccino piccino, pallido e dagli occhi sgomentati. Col tempo il bambino non cresceva normalmente e le monache le consigliarono di fare voto alla Madonna e così Caterina fece indossare al bimbo un piccolo abito nero e bianco come un piccolo monaco. Pur quand’egli fu grande di età, rimanendo un nano, continuò ad indossare quella sorta di saio ed è per questo che la gente lo soprannominò “il munaciello”. Corpo piccolo, testa grande e quasi mostruosa, le monache lo amavano ma la gente in istrada ed i bottegai spaventati lo additavano ed ingiuriavano, come fa spesso la plebe contro le persone deboli e inermi. Quando lui passava davanti alla bottega dei Frezza, proprio i suoi zii e cugini li lanciavano le imprecazioni più orribili. Solo tra le braccia della mamma ritrovava pace e consolazione. A poco a poco, in quei bassi quartieri dove egli muoveva i suoi passi, si sparse la voce che il munaciello aveva in se qualcosa di magico, di soprannaturale. Incontrandolo, la gente si segnava e mormorava parole di scongiuro. Si diceva che quando egli portava il cappuccio di color rosso, allora era un buon augurio,  ma quando era quello nero, allora cattivo augurio. Dal momento che il cappuccio rosso compariva raramente, lu munaciello era bestemmiato e maledetto.

Era lui che attirava l’aria mefitica nei quartieri bassi, che portava la febbre, che faceva imputridire l’acqua e che portava la mala fortuna. Il fango che gli scagliavano contro gli insudiciava la tonacella mentre le bucce di frutta lo ferivano il viso. Egli fuggiva senza parlare, portandosi il tormento dentro per non poter reagire. Ora che Catarinella Frezza era morta nessuno lo poteva consolare più. Le monache gli facevano fare piccolo servizi e lavori nell’orto ma anch’esse, a vederlo d’improvviso nella penombra si spaventavano come ad un apparizione diabolica. Si avvalorò il detto che lui aveva una faccia cupa, che non era mai stato in chiesa e che si poteva trovarlo in più posti a poca distanza di tempo. Poi, una sera lui scomparve e non mancò chi disse che era stato il diavolo a portarselo via per i capelli. Ma alcuni sospettarono i Frezza di aver lostrangolato e poi gettato in una cloaca, come alcune piccole ossa con un grande teschio lì ritrovate lasciarono pensare.

Questa qui è la cronaca, ma nulla finì perché è con la sua morte che la leggenda del munaciello invece inizia.
Qui, la povera e scialba borghesia, quella che vive nelle fetide strade  strette e buie, nei bassi, senza alba, senza tramonto, senza mare, senza poesia e senza fantasia ha avuto il suo spiritello. Non è il folletto che canta sulle rive del fiume, né lo gnomo che danza sull’erba dei prati o quello che abita i quartieri nuovi o  aristocratici, ma il maligno folletto delle vecchie case di Napoli. La parte ariosa, bella, luminosa e linda non gli appartiene così come lo sono, invece, i vicoli di Toledo, le tetre vie dei Tribunali o i cupi quartieri di Foria di Vicaria e di Pendino. Lì dove è vissuto e dove ha girovagato con la sua tonacella, la testa grossa, la faccia pallida ed i grandi occhi, riappare come spirito per il terrore di donne, fanciulli ed uomini. Dove lo hanno fatto soffrire, anima sconosciuta e forse grande in un corpo rattrappito debole e malaticcio, là egli ritorna,  spirito malizioso e maligno nel desiderio di una insaziabile vendetta. Di tutto è capace lu munaciello, quando la massaia trova la porta della dispensa aperta, la vescica dello strutto sfondata o il vaso dell’olio riverso, è senza dubbio la  sua opera. E’ lui che fa cadere di mano il vassoio con i bicchieri alla sbadata serva, che fa inacidire  il vino, che fa morire le galline o seccare il basilico. Se la vendita in bottega va male, se un matrimonio stabilito si disfa o se uno zio ricco muore lasciando tutto alla parrocchia, è la mano diabolica del folletto che ha preparato queste sventure grandi o piccole. E’ sempre il munaciello che scombussola la casa, disordina i mobili, turba i cuori, scompiglia le menti e porta paura. E’ lui, lo spirito tormentato e tormentatore che porta tumulto nella sua tonacella nera, la rovina nel suo cappuccetto nero. Ma quando il munaciello porta quello rosso, la sua venuta è di buon augurio. E’ per questa strana  mescolanza tra bene e male, di cattiveria e bontà che il munaciello è rispettato, temuto ed amato. E’ per questo che le fanciulle innamorate si mettono sotto la sua protezione o che le zitellone lo invocano a mezzanotte dal balcone per nove giorni perché procuri loro un marito. Per questo, il giocatore di lotto fa tre volte lo scongiuro per avere i numeri sicuri o i bambini a parlargli per avere i dolci ed i balocchi che desiderano. La casa dove il munaciello è apparso è guardata con diffidenza ma non senza soddisfazione; la persona che lo ha visto è guardata con compassione, ma non senza invidia. Egli appare di più a fanciulle e bimbi ma chi lo ha visto mantiene prezioso tale  segreto, forse apportatore di fortuna. Il folletto della leggenda rassomiglia al munaciello di questa storia, ovvero un anima che ha pianto e che fa piangere, che ha sorriso e fa sorridere, un bimbo che gli uomini hanno torturato ed ucciso come un uomo; un folletto che tormenta gli uomini come un bambino capriccioso e li carezza e consola come un bambino ingenuo ed innocente.

redazione