L’aquila di sangue è stato un metodo di tortura ed esecuzione in vigore nei Paesi nordici, sopratutto fra la popolazione dei Vichinghi. Nonostante questo rituale sia descritto in vari testi antichi, alcuni studiosi sostengono che possa non essere mai stato usato.
Metodo di esecuzione

Aquila di sangue: mito o realtà
Questo metodo di tortura vichingo è stato spesso dibattuto. Nonostante siano state trovate menzioni scritte, alcuni studiosi pensano che in realtà questo rito non sia mai stato praticato. Questo equivoco sarebbe nato da una errata traduzione dal vichingo allo scandinavo e da alcune figure retoriche o similitudini che sarebbero state erroneamente interpretate come un atroce rituale.
Tuttavia esiste un termine in lingua Nordica antica, blóthorn o blóðörn, che significa appunto aquila di sangue e che indicherebbe, effettivamente, che un rituale con questo nome sia davvero esistito.
E in effetti, oggi, la maggior parte degli studiosi di storia vichinga sono concordi nell’affermare che l’aquila di sangue sia davvero esistita.
Nella letteratura norrena si fa menzione di due esecuzioni tramite aquila di sangue. Una sarebbe stata quella del principe Halfdan Haaleg, figlio del re di Norvegia.
L’altra, nell’867, quella del re di Northumbria. Il re aveva ucciso il padre del capoclan vichingo Ivarr Ragnarsson e fu proprio quest’ultimo a uccidere il re con l’aquila di sangue.
Secondo lo studioso J.M. Wallace-Hadrill però altre potenziali vittime di questo barbaro metodo di esecuzione potrebbero essere state anche il re Maelgualai d’Irlanda e persino il martire Edmondo dell’Anglia orientale.